Da Fernando a Teodolinda, cercando di uccidere Pietro

Questo idealmente è il mio ultimo post portoghese.
Non sono stato capace di scrivere nulla da Porto, ma ancora non ho davvero realizzato che è tutto finito. Quindi facciamo finta che sto scrivendo ancora dalla mia stanzetta di Rua Fernandes Tomàs o da qualche tavolo negli enormi corridoi della faculdade de economia, invece che da una navetta Malpensa – Milano centrale, dove ho iniziato la brutta copia. Le prossime volte che parlerò del Portogallo, perché sicuramente tornerò lì almeno con la tastiera per qualche reminiscenza, spero che avvengano con un po’ più di consapevolezza del fatto che non ci vivo più.
L’avevo già detto, Porto mi manca da quando vi ho rimesso piede dopo il Natale in Sicilia. Non sono riuscito a dirle addio come si deve perché conto troppo di tornarci. E ci sono tutta una serie di eventi, di persone nuove, di abbracci e di addii, che non sono ancora riuscito ad elaborare emotivamente, figuriamoci a parole. Non so nemmeno se sia una bella cosa, una festa d’addio: tutta quella gente per salutarti e tu che non sai se essere felice per averli conosciuti o triste perché sarà difficile ricreare quel tipo d’ambiente da un’altra parte (e nel dubbio, bevi). Per inteso, più probabilmente ero felice, anche se in certi momenti mi sentivo come in quegli sceneggiati americani, quando mangi le tartine e sorseggi con gli amici dopo un funerale.
Il film mentale del mio ritorno a casa parte dai miei coinquilini che mi salutano dalla finestra del seriously flat come se stessi andando in guerra o, che so, tornando in Italia. Seguono diciassette fermate metro tra casa mia e l’aeroporto; durante le quali con Beso (il mio amico di Tbilisi) programmiamo già il mio ritorno in Portogallo o una reunion da qualche parte nell’Est Europa, questa estate. Dopo essermi fatto scippare un po’ di soldi per essere andato in overweight nonostante i dieci chili in più concessi agli studenti Erasmus, si parte. Ci fanno salire sulla navetta, ci fanno scendere (problema tecnico) e dopo cinque minuti ci fanno risalire. Dormo tra il Portogallo e l’Italia, svegliandomi solo per lo spuntino offerto dalla TAP.
La transizione è stata meno traumatica: ho lasciato la pioggia, mi ha accolto la pioggia. Ma alla stazione di Malpensa chiedevo ancora “com licencia” e mi scusavo dicendo “Desculpe”…
Adesso c’è un’altra puntata a Pavia, in questo lunghissimo ultimo capitolo: la mia vita ha davanti una strettoia costituita da un paio di punti interrogativi. Se passo risolvendoli tutti (venerdì intanto ho finito gli esami), avrò un termine temporale per un grande e più interessante punto di domanda, che forse segnerà l’inizio di una nuova era e, forse, la mia definitiva guarigione dalla sindrome di Peter Pan.

Porto storm

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2 risposte a Da Fernando a Teodolinda, cercando di uccidere Pietro

  1. michela ha detto:

    Sono appena tornata dall’Erasmus a Porto anche io e non riesco ancora a capacitarmi come questa esperienza sia finita. E’ stata senza dubbio bellissima e mi stupisco come mi sia potuta innamorare di un paese, di una cultura, di un popolo e soprattutto di una città con questa velocità impressionante. Mi mancheranno i pasteis de nata, mi mancheranno i pranzi nei ristoranti scrausi a 3,50 (com sopa, bebida, prato do dia e pao), mi mancheranno i lunedi’ alla ribeira, i vari pitch, boulevard, piolho…. mi mancheranno tutte le persone che ho conosciuto e che hanno condiviso questa esperienza con me! Saudade de tudo questo!

  2. Pingback: 40 Giorni e 40 Notti (Denny, combini sempre guai) | Daniel's

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